Che cosa sono i sistemi sanitari basati su protocolli e le applicazioni nella sanità

Che cosa sono i sistemi sanitari basati su protocolli e le applicazioni nella sanità

I protocolli

Un protocollo rappresenta una serie di istruzioni. Tali istruzioni possono descrivere la procedura da seguire quando si indaga un certo gruppo di sintomi in un paziente oppure il metodo da seguire nel trattamento di una determinata malattia. Esso viene quindi solitamente inteso come un indicatore sul modo “migliore” di eseguire un determinato compito. Si tratta del modo in cui dovrebbe sempre essere eseguita una determinata cosa. Di seguito un esempio per l’autogestione del regime di insulina.

Sistemi sanitari basati su protocolli

Usi clinici dei protocolli

Il valore fondamentale di un protocollo consiste nel fatto che certe azioni vengono eseguite in modo uniforme. Esso serve da guida o sostegno mnemonico nelle situazioni in cui è probabile che le procedure vengano dimenticate, siano difficili da seguire o gli errori siano costosi o rischiosi.

  1. Ricerca. Nel valutare l’efficacia di una terapia si progetta un protocollo come guida per la somministrazione della terapia durante il periodo del trial. Questo serve a massimizzare la probabilità che le operazioni vengano eseguite nella stessa maniera, in modo da dare un senso ai dati rilevati. Inoltre fornisce in tal modo un confronto con chi non ha seguito l’iter terapeutico del protocollo.
  2. Delega della responsabilità. Vi è la possibilità di delegare a personale addestrato problemi minori, o addirittura di permettere ai pazienti di eseguire a casa la terapia.
  3. Demarcazione della responsabilità. Un protocollo rende chiaro quali compiti vengono svolti dai diversi membri dello staff sanitario.
  4. Educazione. Assicura uno standard minimo all’erogazione delle cure.
  5. Situazioni complesse o critiche per la sicurezza. In situazioni dove gli errori possono essere gravi è opportuno che anche il personale esperto segua linee guida chiare.
  6. Situazioni infrequenti. In situazioni mai incontrate in precedenza le linee guide sono importantissime.
  7. Pratica clinica basata sulle evidenze. Se vi sono irregolarità dei metodi applicati al trattamento di una determinata condizione, l’adesione ad un protocollo che rappresenti il miglior approccio condiviso può garantire uno standard terapeutico uniforme, aumentando di conseguenza la probabilità che i risultati siano uniformi.

Il ciclo vitale dei protocolli

Il trattamento di ogni paziente dovrebbe essere considerato, su un piano astratto, come un esperimento scientifico. I risultati di questo esperimento potranno contribuire all’avanzamento delle conoscenze. Con l’avvento della pratica basata sulle evidenze, ci si sta avvicinando alla realizzazione di tale visione. Se è possibile trattare la maggior parte dei pazienti per mezzo di protocolli, dovrebbe essere possibile chiudere l’anello e utilizzare la conoscenza ottenuta dal trattamento di ciascun paziente. Quando viene elaborato un protocollo, esso deve essere concepito in base alla comprensione dei trattamenti migliori, come anche alle circostanze in cui verrà utilizzato. Per tanto, il primo passo nell’arrivare a un tale processo è quello di sviluppare un modello del processo patologico. In base alla comprensione del contesto in cui verrà utilizzato il protocollo viene elaborata una serie di assunti che influenzano forma e contenuto del progetto di un protocollo. Ultimo passo è l’elaborazione di un processo terapeutico in base al protocollo.

Quanto detto non ha nulla di diverso dal ciclo “definizione del modello, misurazione e gestione”, per cui i risultati del protocollo si tramutano in successive revisioni del protocollo. Segue ancora che possiamo applicare il modello a tre anelli precedentemente analizzato.

Il ciclo vitale dei protocolli
Il ciclo vitale dei protocolli

Le varianti guidano il miglioramento

Una critica comune dei protocolli è che lo stato del paziente è troppo variabile per essere sottoposto ad una cura programmata. Nessuno esclude difatti che possono verificarsi varianti che non sono previste nel protocollo, o allo stesso modo può essere necessario adottare terapie non previste dallo stesso.
Invece di costituire un problema, l’identificazione delle varianti può divenire una parte centrale del modo in cui la terapia basata sul protocollo venga erogata. Esse inoltre consentono di valutare l’appropriatezza del protocollo nel tempo, e di conseguenza sono utili alle valutazioni eseguite nell’anello 3.

Progettazione e applicazione dei protocolli

I protocolli rappresentano un efficace metodo per migliorare la qualità delle decisioni quando si verificano due condizioni:

  1. Deve essere realmente fattibile indicare in anticipo un determinato corso di azioni.
  2. Le condizioni al momento del processo decisionale devono rendere possibile l’accesso e l’applicazione del protocollo. L’impossibiltà di soddisfare una qualsiasi di queste condizioni di progettabilità o di utilizzabilità del protocollo, provocherà difficoltà nell’introduzione del protocollo stesso.

Una terza ampia area di difficoltà sta nella cultura della pratica medica. L’introduzione di un approccio maggiormente regolamentato all’erogazione delle cure viene visto da alcuni come un intrusione nella loro libertà clinica di praticare la medicina nel modo che essi ritengono personalmente più appropriato.

La struttura dei protocolli

I protocolli possono variare nella struttura e nel contenuto, a seconda del contesto in cui verranno utilizzati.

  • I criteri di ingresso definiscono il contesto di utilizzo del protocollo. Se i criteri di ingresso sono insufficienti o imprecisi il protocollo potrebbe essere utilizzato in maniera non appropriata.
  • La forma del protocollo è determinata dalla sua funzione. I diagrammi di flusso sono il modo più comune per rappresentare un protocollo. A volte si preferisce utilizzare in maniera più semplice una serie di regole chiamate linee-guide per il paziente.
  • I protocolli suddivisi permettono la gestione delle complessità. Essi anche per compiti relativamente semplici possono iniziare ad essere complicati. Un modo di gestire tale complessità è di suddividere il protocollo in una sequenza di parti più piccole, ognuna corrispondente ad un compito specifico ed ognuna con criteri di entrata e uscita. Il modo più semplice di pensare alle parti del protocollo è di considerare strutture di stato. Ogni raggruppamento di compiti corrisponde ad un particolare stato del trattamento del paziente. In tal modo sarà anche più semplice modificare alcune parti del protocollo (aggiornamento).
La struttura dei protocolli
La struttura dei protocolli

Percorsi terapeutici

Il processo di suddividere la terapia in un gruppi di stato, ognuno con i propri criteri di entrata e uscita, costituisce la base dei percorsi terapeutici. In un percorso terapeutico, la terapia di un paziente può essere suddivisa in una sequenza di giorni, corrispondente alla lunghezza ideale della degenza ospedaliera per quella condizione. Ogni giorno ha un gruppo di istruzioni che descrivono la terapia tipica che dovrebbe essere somministrata al paziente. Ogni giorno inoltre ha una serie di aspettative che descrivono il quadro clinico del paziente previsto per quel giorno. Il mancato soddisfacimento di tali aspettative può impedire il progresso del paziente lungo il percorso fino al soddisfacimento delle condizioni. Il protocollo si basa quindi sull’esito clinico delle fasi intermedie della terapia del paziente.

La progettazione dei protocolli

La critica più comune verso i protocolli è la loro scarsa flessibilità. Più che una caratteristica intrinseca, essa è dovuta ad una progettazione superficiale. Essa dovrebbe descrivere una terapia in base alle migliori evidenze disponibili a partire dalla ricerca e dalla pratica clinica e deve essere strutturata in modo da riflettere il contesto in cui verrà utilizzato il protocollo. Valutiamo alcuni aspetti.

  • Il paziente. Sono così raramente accomodanti da presentare un pattern di malattia tipico. Inoltre i sintomi cambiano a seconda della fase della malattia e possono essere mascherati da altre malattie in corso.
  • Obiettivi terapeutici. Per uno stesso problema lo scopo del trattamento varia con la situazione clinica. Ad esempio in situazioni di calamità naturali il trial verrà utilizzato per decidere chi necessita di trattamento immediato e chi invece, non avendo probabilità di sopravvivere verrà lasciato senza trattamento. Le circostanze immediate di una situazione dettano gli obiettivi terapeutici.
  • Risorse locali. Gli obiettivi sono inoltre vincolati dalle risorse. Non ha senso specificare protocolli che non possono essere seguiti per assenza di risorse.
  • Personale. Il livello di abilità degli individui necessario per eseguire il protocollo ne influenza la forma e il contenuto. Fondamentale è la capacità di riconoscere se i criteri di ingresso sono soddisfatti o meno.
  • Processi locali. Un protocollo deve essere progettato con la comprensione di come verrà utilizzato all’interno di processi in corso. Bisogna chiedersi se verrà utilizzato come guida da seguire in maniera dettagliata o come semplice riferimento. A seconda del caso variano i requisiti di chiarezza e i dettagli.

Principi di progettazione dei protocolli

  1. RENDERE ESPLICITO OGNI ASSUNTO INTORNO AL CONTESTO DI UTILIZZO. Più si è chiari sul contesto nel quale si intende applicare il protocollo, più evidente sarà per altri individui in contesti differenti se il protocollo può venire riutilizzato.
  2. UN PROTOCOLLO NON DOVREBBE ESSERE PIU’ SPECIFICO DI QUANTO SIA NECESSARIO PER RAGGIUNGERE UN DETERMINATO OBIETTIVO. Quanto più un protocollo corrisponde ad una serie specifica di condizioni locali, tanto più sarà improbabile utilizzarlo in altre condizioni. Attenzione però che metodi molto generali possono essere applicati in situazioni differenti, ma avranno un’utilità molto limitata in ognuna di esse. Un metodo per la gestione delle difficoltà create dall’eccessiva presenza di dettagli è quello di specificare inizialmente un protocollo solo in termini generali. Le decisioni riguardanti le specificazioni dei singoli passi saranno prese in base ai particolari dei singoli casi clinici.
  3. LA PROGETTAZIONE DEL PROTOCOLLO DOVREBBE RIFLETTERE IL LIVELLO DI ABILITA’ E LE SITUAZIONI DI COLORO CHE NE FANNO USO. Il livello descrittivo usato in un protocollo dovrebbe accordarsi con le capacità di coloro che ne fanno uso.
  4. I PROTOCOLLI DOVREBBERO ESSERE REVISIONATI CONSTANTEMENTE. Parte delle difficoltà che hanno molti protocolli consiste nel fatto che essi rappresentano una specie di istantanea nel tempo di quello che alcuni individui considerano il modo migliore per eseguire un determinato compito. È un errore considerare il protocollo come frammento di conoscenza isolata, piuttosto va inquadrato nell’ottica del modello a tre anelli.

L’applicazione dei protocolli

Per capire l’applicazione di un protocollo basta rispondere a semplici domande.

  1. QUANDO SI DOVREBBE USARE UN PROTOCOLLO? È più opportuno indicare situazioni dove non è conveniente applicarli: quando non possono essere isolati obiettivi chiari ed è pericoloso fare assunti semplificanti per isolare obiettivi che permetterebbero l’applicazione del protocollo; quando le probabilità degli esiti o l’utilità delle decisioni individuali non possono essere analizzate indipendentemente dal particolare contesto di riferimento; quando non possono essere chiaramente definiti gli esiti o le situazioni finali; quando le utilità di decisioni differenti non sono indipendenti l’una dall’altra.
  2. IN CHE MODO SI DOVREBBE UTILIZZARE UN PROTOCOLLO? Si possono distinguere due categorie: i protocolli passivi e attivi. Nel primo caso i protocolli fungono solo da fonti di informazione e non sono intrinsecamente incorporati nel processo terapeutico. Il protocollo può venire utilizzato soltanto come controllo al termine di un processo decisionale o come riferimento quando ci si imbatte in una situazione inconsueta. Al contrario, l’uso di protocolli attivi modella l’erogazione della terapia intorno a un protocollo. Le fasi della terapia vengono esplicitamente guidate dal protocollo, fatto che richiede la consultazione periodica del protocollo durante il processo.

Costruzione e mantenimento dei protocolli

Si è visto quindi che la creazione di un protocollo non si verifica come un singolo evento nel tempo, ma fa parte di un processo continuo che valuta la performance del protocollo per perfezionarlo. Inoltre, la creazione di un protocollo non può essere un evento isolato, ma la sua forma e il suo contenuto devono essere progettati per riflettere il contesto nel quale verrà utilizzato. Esistono due forze che causeranno una grande espansione del processo di formalizzazione della terapia clinica. La medicina basata sulle evidenze ha come scopo la creazione di grandi basi dati riguardanti quasi tutti gli aspetti della terapia clinica. In secondo luogo, i vantaggi potenziali dei sistemi di protocollo computerizzati causeranno forti pressioni per la loro introduzione.
Il problema è che se si intendono creare grandi basi di dati globali per protocolli che comprendano la miglior pratica medica, dovranno probabilmente essere creati migliaia di protocolli. Un’impresa di tali dimensioni non è mai stata tentata prima. Difatti, nonostante i vantaggi prospettati da coloro che auspicano l’adozione in massa di protocolli, non è ancora certo se ciò sia tecnicamente fattibile o anche praticabile. Valutiamo ora le principali fasi tecniche della creazione di protocolli.

  • Raccolta delle evidenze, loro raggruppamento e diffusione. Deve essere ancora definito se sia possibile elaborare metodi efficaci per passare al setaccio la letteratura medica e creare linee guida per la pratica. I processi attuali fanno uso esteso delle risorse umane. Tuttavia ci sono una serie di problematiche quali la difficoltà di accesso a dati specifici, lo scarso utilizzo di materiale elettronico per le pubblicazioni, assenza di standard, ecc.
  • Rassegna del consenso. La meta-analisi statistica è uno degli strumenti usati per decidere cosa costituisce la pratica migliore basata sugli studi clinici pubblicati. Deve esistere un processo di consenso in cui i singoli studi vengono selezionati per essere sottoposti a questo tipo di analisi. Quando la letteratura è equivoca sul miglior modo di trattare una condizione, le decisioni devono essere prese in base ad altri criteri. In entrambi i casi, è importante che gli esperti discutano e raggiungano il consenso sul metodo migliore da seguire in futuro.
  • La rappresentazione utilizzata nella stesura di un protocollo ha delle conseguenze sul modo in cui le persone utilizzano il protocollo stesso. Non esiste un modo chiaramente migliore, e la scelta della forma di rappresentazione dipende dall’uso previsto per il protocollo. L’ASTM ha tentato di sviluppare un linguaggio comune, la sintassi Arden. Esso era simile al Pascal e codificava le azioni di un protocollo clinico come una serie di regole situazione-azione.
  • Sono stati individuati alcuni deficit nel tipo di informazioni che possono essere descritte. Alcuni ricercatori hanno tentato di definire ontologie formali per i protocolli che verrebbero quindi usate per facilitare la scrittura di protocolli specifici. Un’ontologia può essere pensata come una definizione di ciò che è conoscibile in un certo contesto, in modo da comprendere tutte le conoscenze importanti su ciò che viene descritto nel protocollo. PROforma è uno di tali linguaggi per protocolli, la cui ontologia è sviluppata intorno alla nozione di compiti clinici che sono suddivisi in piani, decisioni, azioni, e richieste di informazioni. In ogni caso lo scopo principale è sviluppare linguaggi ad alto livello, comprensibile dal personale sanitario che lo utilizzerà.
  • Terminologie dei protocolli. Implicita, nella creazione di un’ontologia di sostegno alla scrittura dei protocolli, è la creazione di qualche gruppo circoscritto di parole o terminologie, che sia riconoscibile dal computer.

Barriere culturali all’uso dei protocolli

In molte comunità terapeutiche si attribuisce un grande valore alla libertà terapeutica e “all’arte” della decisione clinica. Molti operatori sanitari per tale motivo resistono alla loro introduzione. Per evitare che ciò avvenga è opportuno fare in modo che coloro che utilizzano i protocolli sono quelli che ne traggono vantaggio. Ad esempio negli Stati Uniti, se un operatore sanitario segue i protocolli riconosciuti sarà immune da un eventuale citazione in giudizio. Inoltre, è utile coinvolgere coloro che utilizzano il protocollo nell’elaborazione del protocollo e nel processo terapeutico.

Pubblicato da Vito Lavecchia

Lavecchia Vito Ingegnere Informatico (Politecnico di Bari) Email: [email protected] Sito Web: https://vitolavecchia.altervista.org

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